Nel cavallo atleta uno degli aspetti meno studiati del ciclo “stimolo-adattamento” indotto dall’esercizio fisico è il recupero, nonostante molti degli effetti provocati dall’allenamento si manifestino proprio durante e grazie a questa fase. In particolare, il recupero attivo post esercizio rappresenta un elemento chiave nella programmazione dell’allenamento. Esso rappresenta il momento in cui avvengono il superamento della fatica, il ripristino delle capacità di prestazione e soprattutto la fase nella quale si realizzano e consolidano gli adattamenti e, quindi, il miglioramento della prestazione sportiva.

Durante la fase di recupero , infatti, l’organismo subisce importanti modificazioni innescando un processo di riparazione volto al ripristino dello stato funzionale ottimale e al potenziamento delle “difese” (supercompensazione) in vista di un prossimo eventuale “attacco” da fronteggiare. Tali modificazioni, oltre a dipendere dalla tipologia, dalla durata e dall’intensità relativa all’attività fisica svolta, dipendono anche dal tipo di recupero che si mette in atto: attivo (mantenimento un’attività muscolare dinamica, ma di bassa intensità) o passivo (non viene svolta alcun tipo di attività muscolare). Tra i processi fisiologici attuati durante la fase di recupero vi sono l’eliminazione dell’acido lattico e la resintesi del glicogeno muscolare.

Gestire al meglio il recupero può, quindi, rappresentare la chiave di successo dell’ allenamento.

L’approccio al recupero può essere:

Passivo: consiste nel riposo da fermi e sottintende il semplice concetto di “lasciar fare” al corpo senza indurre ulteriori stimoli post-allenamento.

Attivo: caratterizzato da specifiche attività fisiche susseguenti il carico allenante, con la finalità di aumentare la velocità di smaltimento dei sottoprodotti metabolici generati dallo stesso (su tutti l’acido lattico) e di accelerare, di fatto, il processo di recupero dell’organismo.
Comunemente questo termine è usato per identificare l’approccio al recupero adottato immediatamente dopo l’attività svolta.

L’esercizio fisico porta a un aumento della produzione di acido lattico, che nel muscolo si dissocia rapidamente in lattato e H+. Il lattato viene poi eliminato attraverso diversi processi, quali l’ossidazione nel muscolo scheletrico, la conversione in glucosio e glicogeno a livello epatico, la conversione in glicogeno a livello muscolare. L’ossidazione nel muscolo scheletrico è sicuramente il meccanismo più importante di eliminazione del lattato e, per questo motivo, il recupero attivo è in grado di aumentare la velocità di smaltimento del lattato.

Il recupero attivo, infatti, prevede un’attività muscolare di bassa intensità, prettamente aerobica, durante la quale la produzione di lattato è minima, mentre la frequenza cardiaca, rimanendo su valori più elevati rispetto al risposo da fermi, apporta un maggior flusso di sangue e ossigeno ai muscoli che, impegnati in una modesta attività fisica, reclutano il loro potenziale di fibre aerobiche che fra i vari metaboliti consumerà a scopo energetico il lattato precedentemente prodotto .

Tutto ciò consente nel complesso un più efficiente smaltimento del lattato. Con il recupero passivo invece non vi saranno gli effetti appena descritti, per cui anche se il lattato accumulato sarà comunque ossidato a livello muscolare, l’ossidazione e il conseguente smaltimento avverranno a una velocità minore e gli effetti nefasti dell’accumulo di lattato si potranno protrarre nel tempo. La figura 1 mostra come, dopo esercizio massimale, l’andamento della lattatemia possa cambiare se viene eseguito un recupero attivo o passivo.

Durante un esercizio fisico intenso il glicogeno rappresenta la fonte primaria di energia per il muscolo scheletrico e la sua utilizzazione necessita successivamente del ripristino delle riserve e della risintesi della molecola.

Gli effetti precedentemente descritti riguardo il recupero attivo rallentano la resintesi del glicogeno: le fibre muscolari attive tendono a consumare energia e non a risintetizzare le scorte energetiche, inoltre il lattato degradato per via ossidativa non potrà essere utilizzato per la neoglicogenesi. Il recupero attivo aumenta la velocità di eliminazione del lattato, ma rallenta la resintesi del glicogeno, mentre il recupero passivo, rallenta l’eliminazione del lattato, ma accelera la resintesi del glicogeno. Questi aspetti devono necessariamente essere presi in considerazione se si vuole ottimizzare il recupero muscolare. Probabilmente, come spesso accade, la chiave vincente non è rappresentata da nessuna delle due opzioni, ma dalla giusta combinazione di entrambe in base alle esigenze richieste dallo specifico allenamento.

Tenuto comunque conto dell’importanza del recupero attivo, bisogna guardare alle fonti energetiche necessarie a garantire la contrazione muscolare, che sono soprattutto carboidrati e lipidi.

Oltre quindi all’attività fisica le principali strategie di recupero sulle quali lavorare sono:

  • L’alimentazione. Un’alimentazione che preveda macro e micronutrienti bilanciati in relazione alle specifiche esigenze dell’atleta e al tipo di attività svolta è assolutamente uno dei fattori che più influenzano un corretto recupero.
  • L’idratazione. Un corretto apporto di liquidi deve sempre essere assicurato.
  • L’integrazione. Esistono numerosi prodotti naturali utilizzati per migliorare le strategie di recupero.

Dopo una gara o un allenamento esiste una “finestra di tempo” ove l’organismo è più ricettivo a reintegrare quanto perso nelle ore di allenamento o di gara. Durante questo periodo tutto ciò che viene ingerito andrà a distribuirsi nell’organismo per riparare eventuali “danni” derivanti dall’esercizio. Semplificando al quanto il processo, possiamo dire che durante lo sforzo il cavallo inizia bruciando i carboidrati semplici, poi passa ai carboidrati complessi quindi, alle fibre se l’esercizio continua, attinge a quelle riserve energetiche che bruciano più lentamente: i lipidi, la cui mobilizzazione si traduce nella liberazione di acidi grassi a scopo catabolico..

È bene che una parte dell’energia che il cavallo consuma provenga dagli acidi grassi, in quanto altamente energetici e completamente ossidabili, per cui non causano problemi di acidosi.

Pertanto, un supplemento ad alto tenore di acidi grassi, con un adeguato equilibrio tra omega 3 e omega 6, rappresenta un’arma formidabile per contrastare gli effetti dello stress negli sforzi intensi, garantendo una tenuta atletica nel lungo periodo e migliorando il recupero nel cavallo atleta.

Gli omega 3 e omega 6 sono acidi grassi polinsaturi essenziali, composti cioè che le cellule dei mammiferi non sono in grado produrre e che devono, quindi, essere introdotti con l’alimentazione.

Di particolare interesse, soprattutto per i soggetti atleti, sono gli acidi grassi omega 3 EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico) in quanto migliorano il funzionamento di molti sistemi organici tra cui quello cardiovascolare, nervoso, gastrointestinale, riproduttore e immunitario; sono importanti anche per la crescita, la regolazione e lo sviluppo dei processi biologici; nell’uomo controllano il livello plasmatico dei lipidi, soprattutto dei trigliceridi e del colesterolo HDL e data la loro natura chimico-fisica, fluidificano il sangue, controllano la pressione arteriosa, migliorano l’integrità delle membrane delle cellule e l’elasticità alle pareti arteriose.

Numerosi studi, condotti sul cavallo atleta, hanno evidenziato che la somministrazione di integratori alimentari a base di olio di pesce preserva lo stato di salute del cavallo, migliorandone il benessere e la performance atletica. Durante l’attività fisica, com’è noto, si può verificare un danno cellulare e tissutale dovuto all’ossidazione dei lipidi di membrana, delle proteine, dei carboidrati e degli acidi ribonucleici. L’integrazione della razione alimentare con sostanze ad azione antiossidante, quali gli acidi grassi essenziali, fornisce all’atleta una protezione dai danni causati dai radicali liberi, soprattutto quando, nei programmi di allenamento è previsto un aumento del carico di lavoro. Inoltre, è stata dimostrata la loro influenza sul miglioramento dei principali parametri della performance sia in corso di esercizio che durante la fase di recupero. In particolare, è emersa una riduzione della frequenza cardiaca, dei valori di ematocrito e di lattato durante le fasi di defaticamento attivo e passo, mostrando dei tempi di recupero sorprendenti.

Alla luce dei potenziali benefici, l’impiego costante di un supplemento dietetico fonte di acidi grassi essenziali dovrebbe essere incoraggiato nella pratica equina, per ottenere un miglioramento della performance atletica del cavallo sportivo preservandone il benessere e lo stato di salute.

Bibliografia

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La valutazione quantitativa del dispendio energetico del muscolo ed il suo rapporto con il lavoro e la potenza permettono di determinare la capacità che il cavallo atleta ha di eseguire un esercizio fisico. L’energia viene comunemente definita come la capacità di compiere lavoro. Tra le diverse forme di energia che maggiormente interessano lo svolgimento di attività fisica ricordiamo l’energia meccanica e l’energia chimica. Per comprendere queste due forme di energia possiamo considerare un cavallo che corre, cioè che compie un lavoro meccanico mediante l’accelerazione del suo centro di gravità in direzione frontale. L’energia che produce questo movimento viene definita energia cinetica. L’energia cinetica o di movimento è dovuta al processo di conversione a livello muscolare di una parte di energia, chiamata energia chimica, posseduta da alcuni composti ad elevato contenuto energetico. La contrazione muscolare pertanto, risulta sostenuta durante tutte le sue fasi dalla continua trasformazione dell’energia chimica contenuta nella molecola di ATP in energia meccanica e dal rifornimento, mediante i processi di risintesi, del nucleotide consumato durante l’evento contrattile.

Tutte le attività sportive, siano esse anaerobiche o aerobiche, sono caratterizzate da precise risposte metaboliche correlate all’intensità e alla durata dell’esercizio fisico svolto. Attualmente, tutte le fonti energetiche coinvolte in questo processo metabolico sono ben conosciute, infatti, è noto che l’energia necessaria al lavoro muscolare derivi, in modo percentualmente diverso, dall’ossidazione dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine. Appare dunque centrale il ruolo dell’ossigeno, la cui ridotta disponibilità “obbliga” l’organismo a servirsi della sola fonte energetica utilizzabile per via anaerobica, ovvero e i carboidrati. Questo processo, noto come glicolisi, esita nella produzione di acido lattico. In presenza di ossigeno sia i carboidrati sia i lipidi, rimangono i substrati metabolici preferenzialmente utilizzati dal muscolo in attività e, nel metabolismo aerobico, l’energia che deriva dalla loro ossidazione si accompagna a incrementi modesti di lattato ematico. La via aerobica, inoltre, permette una completa utilizzazione dei substrati lipidici, essenzialmente rappresentati dagli acidi grassi liberi plasmatici, mentre è ormai ben noto che in presenza di un aumento del lattato ematico, a causa di una maggiore utilizzazione di carboidrati nella via glicolitica, si ha una ridotta mobilizzazione degli acidi grassi dal tessuto adiposo e, di conseguenza, una loro minore disponibilità a livello del muscolo, per il quale rappresentano il substrato a più alto rendimento energetico. in termini di preferenziale. Relativamente alle modificazioni del quadro metabolico lipidico un’ importanza particolare assume, soprattutto per quanto riguarda i valori basali, il tipo di allenamento che il cavallo atleta ha effettuato. Infatti, sono state dimostrate concentrazioni più elevate di trigliceridi a livello del tessuto muscolare nel cavallo allenato rispetto al sedentario. Il fabbisogno lipidico nel cavallo atleta assume, pertanto, carattere di “essenzialità” e in particolare per gli acidi grassi linoleico ed alfa-linolenico e per i loro derivati, la cui aliquota risulta superiore al 5 % delle calorie assunte nell’arco delle ventiquattro ore; per la restante parte della quota lipidica sono preferibili gli acidi grassi ad elevato numero di insaturazioni e protetti da adeguate quantità di tocoferoli, antiossidanti e vitamina E; quest’ultima, in particolare, esercita un ruolo importante nei meccanismi che regolano gli scambi attraverso le membrane. Alla luce delle attuali conoscenze possiamo ben dire che l’esercizio aerobico è sostenuto, in maniera adeguata alla sua intensità e durata, dall’energia prodotta dagli acidi grassi a lunga catena; basti pensare che, per esempio, nella corsa di durata, in un atleta umano, il QR scende gradualmente avvicinandosi a quel valore 0,7 che indica la quasi totale dipendenza energetica dai lipidi.

Anche nel Cavallo gli acidi grassi non esterificati (NEFA), costituiscono la principale fonte di energia durante il riposo e al passo. I lipidi vengono depositati principalmente nel tessuto adiposo, negli adipociti, sotto forma di trigliceridi e qui rappresentano un deposito “non diluito” di energia. Molecole idrofobiche per eccellenza, i trigliceridi al contrario del glicogeno, mantengono il rapporto energia/peso idratato delle loro riserve molto elevato.

Per quanto riguarda l’esercizio fisico possiamo dire che il contributo metabolico dei grassi dipende da diversi fattori e, soprattutto dall’intensità, dalla durata dell’esercizio e dal grado d’allenamento del soggetto. In linea di massima si può dire che il contributo dei lipidi è inversamente proporzionale all’intensità del lavoro e direttamente proporzionale alla sua durata, così in un esercizio sub-massimale di lunga durata, se da un lato si assiste alla deplezione dei depositi di glicogeno, dall’altro si evidenzia il concomitante incremento degli acidi grassi ematici.

Tutti gli organi, fatta eccezione per il cervello, possono utilizzare i lipidi a scopo energetico e, fra i vari tessuti, i migliori fruitori, sono il tessuto muscolare e il miocardio.

Ad essi gli acidi grassi possono, teoricamente, giungere da tre diverse fonti:

– dai trigliceridi del tessuto adiposo, mobilitati dall’azione catalitica della lipasi ormono-sensibile;

– dai chilomicroni e dalle VLDL, per azione catalitica della lipoproteina lipasi;

– dai NEFA ematici.

Nel soggetto allenato e principalmente nel lavoro submassimale, le modificazioni metaboliche che inducono a una maggiore utilizzazione dei grassi da parte del muscolo, possono essere dovute:

– a modificazioni enzimatiche, soprattutto a carico della lipoproteina lipasi muscolare che con un adeguato allenamento aerobico triplica la sua attività;

– alle aumentate capacità ossidative: aumentano di dimensione le fibre a maggiore capacità ossidativa (fibre I); aumentano dimensioni e numero dei mitocondri ed il numero e l’attività degli enzimi della beta-ossidazione;

– all’aumentata capillarizzazione: essa, permettendo un più lungo tempo di transito del sangue, consentendo una maggiore captazione degli acidi grassi da parte della miocellula.

Volendo riassumere brevemente i vantaggi della metabolizzazione dei lipidi nell’esercizio fisico, si può dire che:

– i grassi sono altamente calorici e pertanto attraverso il loro catabolismo si libera una notevole quantità di energia (9,3 kcal/g);

– costituiscono ampie riserve in siti diversi dell’organismo;

– sono una sorgente stabile d’energia che può essere mobilizzata al momento opportuno;

– implicano un aumento dell’ATP che inibisce allostericamente la fosfofruttochinasi e la piruvico chinasi, rallentano il flusso glicolitico del glucosio e del glicogeno, salvaguardando le riserve organiche di quest’ultimo da una precoce deplezione.

Gli svantaggi sono invece rappresentati:

– dal minore valore calorico dei depositi lipidici intramuscolari, rispetto ai depositi di glicogeno;

– dalla loro utilizzazione solo attraverso la via aerobica;

– dalla loro insolubilità in acqua e dalla sede prevalentemente extramuscolare che non ne facilita il trasporto ai muscoli, per cui essi non immediatamente disponibili all’inizio dell’esercizio;

– dalla loro impossibilità ad essere usati come unica fonte di energia, tranne che per un lavoro di carico modesto;

– dal minore valore calorico ottenuto per litro di O2 (4,6 kcal/l O2,contro le 5,1 kcal/l di O2 fornito dai glucidi). Quest’ultimo dato è solo in apparente contrasto con quanto precedentemente detto circa il maggiore valore energetico dei lipidi rispetto ai glucidi. Infatti se è vero che questi ultimi forniscono solo 4,1 kcal/g, rispetto alle 9,3 kcal/g dei lipidi, tuttavia a livello di rendimento energetico non conta tanto questo valore assoluto, quanto il valore calorico ottenuto per litro di O2 consumato.

Indispensabile per l’esecuzione di un esercizio submassimale di lunga durata, il metabolismo lipidico non è stato ancora preso in sufficiente considerazione nel cavallo atleta. Forse per il fatto che i depositi lipidici del cavallo sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli dell’uomo, forse perché si ipotizza che ciò non costituisca fattore limitante nello sforzo di durata, nell’atleta equino l’attenzione dei ricercatori è stata monopolizzata in direzione del metabolismo glucidico. Alla luce dei progressi che la medicina sportiva del cavallo ha conseguito, appare oggi della massima importanza cambiare rotta e approfondire in maniera più analitica quale sia il contributo che la quota lipidica fornisce durante l’esercizio fisico, allo scopo di valutarne il ruolo a livello della performace e di conoscerne i fabbisogni reali nel cavallo impegnato in allenamento e, soprattutto, in prestazioni di lunga durata.

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La performance atletica è il risultato della corretta integrazione fra i principali sistemi funzionali coinvolti per rispondere alle richieste energetiche connesse all’attività fisica, per consentire gli adattamenti omeostatici e garantire il controllo neuro-motorio.

L’addestramento e l’allenamento del cavallo atleta vengono applicati, infatti, non solo per conseguire un miglioramento dell’efficienza dei principali sistemi biochimico-funzionali, ma anche per ottenere capacità di resistenza generale, adeguato controllo neuro-motorio e comportamentale ed elevata capacità di risposta allo stress.

In questo senso nella valutazione dell’attitudine dei soggetti all’attività competitiva e nella programmazione dell’allenamento al fine di migliorarne la performance atletica bisogna tener conto anche degli aspetti motivazionali, della capacità individuali di gestire lo sforzo, nonché della soglia di percezione della fatica e del dolore.

La locomozione in ogni animale ha un costo energetico e tale costo aumenta nel caso in cui un soggetto compie attività sportiva. Il consumo energetico di un cavallo atleta è dovuto essenzialmente all’aumento del lavoro dei muscoli scheletrici e, anche se in minor parte, dal maggior carico di lavoro cui vengono sottoposti gli apparati cardio-circolatorio e respiratorio.

La pratica dell’allenamento, intesa quale processo sistematico mediante il quale si modificano le capacità di prestazione dell’organismo attraverso la somministrazione adeguata di carichi di lavoro, crea le premesse biologiche per innalzarne le capacità e il livello funzionale dell’organismo dell’atleta, attraverso modificazioni morfologiche e fisiologiche sempre più stabili e consolidate, definite adattamenti all’allenamento. In questo senso l’allenamento di resistenza di lunga durata è quello che induce gli adattamenti morfologici e funzionali più significativi e stabili a carico del cuore e del circolo ematico.

Quando l’intensità, la frequenza e la durata di tale tipo di allenamento sono sufficientemente elevati, si registra un significativo aumento della massima capacità aerobica dell’atleta, ovvero del massimo consumo di ossigeno che nel cavallo purosangue inglese può raggiungere valori pari a 169 litri al minuto.

L’allenamento di resistenza di lunga durata non sembra indurre significativi effetti sulla funzione respiratoria, anche se appare evidente l’aumento della vascolarità polmonare; per contro le capacità ossidative intrinseche del muscolo scheletrico aumentano in misura largamente superiori alle reali esigenze: il numero dei mitocondri e le disponibilità di enzimi ossidativi può anche raddoppiare rispetto al normale.

Con l’allenamento è possibile incrementare le capacità metaboliche aerobiche ottimizzando l’utilizzo delle riserve di glicogeno muscolare e riducendo l’accumulo di cataboliti. Grazie a questi adattamenti il muscolo utilizza una percentuale maggiore, di lipidi risparmiando il glicogeno con una conseguente riduzione della produzione di acido lattico.

Nell’esercizio di intensità moderata (velocità inferiore a 200m/min) e di breve durata (meno di 30 minuti) il passo, con o senza sforzo di trazione, o il piccolo trotto mettono in gioco le fibre muscolari che utilizzano a scopo energetico gli acidi grassi a lunga catena, mobilizzandoli dai depositi lipidici, e in minor misura, il glucosio. In un cavallo allenato se lo sforzo di intensità moderata si prolunga per più ore, i lipidi corporei forniscono circa il 90% dell’energia utilizzata.

Nel corso di esercizi intensi, definiti sovramassimali, corrispondenti al trotto rapido (più di 400m/min) o al galoppo rapido (più di 500m/min) (o prove di salto ostacoli, cross country) o nel caso di esercizi prolungati di intensità moderata in cavalli non allenati, il consumo di ossigeno dei muscoli è superiore all’apporto di sangue. e l’organismo entra in deficit d’ossigeno. In più vi sono altri tipi di fibre muscolari messi in gioco. Queste utilizzano come fonte di energia il glucosio proveniente dal glicogeno muscolare. La degradazione del glucosio è allora incompleto e porta alla formazione del lattato che di per sé, se lo sforzo è di breve durata, può fornire l’energia necessaria a sostenere lo sforzo, ma se l’esercizio continua e permane l’ipossia, si accumula causando un rapido affaticamento muscolare. Un cavallo sottoposto a un lavoro più o meno intenso, ha bisogno quindi di una dieta che gli fornisca, oltre all’energia per il suo mantenimento, anche l’energia supplementare richiesta dal lavoro svolto.

Se un corretto allenamento è essenziale per il cavallo atleta, nondimeno importante è conoscere il valore nutrizionale degli alimenti, cioè la quantità di energia e proteina contenuti in un certo alimento, in modo da poter preparare diete equilibrate per il cavallo, anche tenendo conto del tipo di animale, delle sue dimensioni, della quantità e del tipo di attività fisica svolta e della sua capacità di ingestione. Il tasso ematico dell’acido lattico tende ad aumentare in molte situazioni in cui il cavallo è chiamato a compiere un intenso sforzo muscolare (lavoro anaerobico, massimale o sovramassimale) e il suo accumulo, oltre ad impedire un corretto funzionamento della muscolatura, ne ritarda i tempi di recupero. Abbassare il livello di acido lattico accumulatosi nei muscoli e nel sangue consente di sostenere più a lungo lo sforzo e permette un rapido recupero fisico, sia dopo l’allenamento, sia dopo una competizione sportiva.

I benefici dei lipidi come sorgente di energia per i cavalli sono oggi ampiamente accettati dagli esperti del settore. La componente lipidica è scarsa nei foraggi e quindi i lipidi potrebbero sembrare un alimento non adatto per i cavalli, ma i suoi vantaggi nutrizionali sono irrinunciabili. La parziale sostituzione nell’alimentazione dei carboidrati (amido) con i grassi può aiutare a migliorare le condizioni di muscoli doloranti; può avere ripercussioni positive sul comportamento, controllare alcune condizioni metaboliche come la resistenza all’insulina, migliorare il trofismo della pelle, del mantello e lo stato di salute generale.

Ora che i vantaggi della frazione lipidica, come fonte energetica, sono stati accettati per lo più universalmente dagli allevatori di cavalli, la ricerca sta esplorando ulteriormente come alcuni grassi possano giovare ai cavalli atleti. I ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione su due distinte famiglie di acidi grassi: la famiglia degli omega 3 e quella degli omega 6. La famiglia degli omega-3 origina dall’ACIDO ALFA-LINOLENICO (ALA) mentre la famiglia degli omega-6 ha come precursore l’ACIDO LINOLEICO (LA). ALA e LA sono considerati “acidi grassi essenziali” perché non possono essere sintetizzati nell’organismo e devono essere assunti con la dieta.

Altri importanti membri della famiglia degli omega-3 sono l’acido grasso a lunga catena eicosapentanoico (EPA) e l’acido docosapentaenoico (DHA). I cavalli sono in grado di convertire ALA in EPA e DHA quando sono assunte quantità sufficienti di ALA, anche se questo processo non è interamente efficiente. Gli acidi grassi omega-3 ed omega-6 devono essere bilanciati nell’organismo per essere efficaci. Gli acidi grassi sono necessari per la produzione e la distribuzione degli EICOSANOIDI. Gli eicosanoidi includono i TROMBOSSANI, le PROSTAGLANDINE e i LEUCOTRIENI che hanno diversi effetti fisiologici tra i quali la regolazione della risposta infiammatoria, il mantenimento della stabilità delle membrane cellulari, lo sviluppo e il funzionamento del tessuto del sistema nervoso centrale, il trasferimento dell’ossigeno e la regolazione delle funzioni immunitarie. Un alterato equilibrio tra gli eicosanoidi derivati dagli omega 3 e dagli omega 6 può causare problemi alla salute dei cavalli. I ricercatori non hanno ancora definito il rapporto ottimale tra gli omega-3 e gli omega-6 nell’alimentazione dei cavalli. Tuttavia pur senza un rapporto esatto, le conoscenze sugli omega-3 e omega-6 e le pratiche del classico management equino accettano che nella dieta dei cavalli devono essere presenti più acidi grassi omega-3 di acidi grassi omega-6. I cavalli sono spesso alimentati con concentrati di energia sotto forma di cereali in grani e oli vegetali aggiunti. La maggior parte dei cereali in grani contiene livelli molto più elevati di acidi grassi omega-6 che di omega-3, alterando così il rapporto ottimale.

I ricercatori del settore hanno quindi iniziato a studiare i potenziali benefici dell’integrazione di omega-3 nell’alimentazione equina, riportandone risultati interessanti.

L’olio di pesce e l’olio di lino sono ricchi di omega-3. L’olio di pesce è una sorgente diretta di EPA e DHA, mentre l’olio di lino è fonte di ALA che deve essere convertito in EPA e DHA.

Infatti l’integrazione con olio di pesce, ricco in omega-3, aumenta i livelli di EPA e DHA nel siero equino e nei globuli rossi. Un aumento dell’elasticità delle pareti dei globuli rossi ne rende più facile il passaggio attraverso i capillari polmonari e muscolari, aumentando così l’apporto ematico e, di conseguenza il rifornimento di ossigeno. L’aumento dell’elasticità dei globuli rossi può inoltre ridurre l’incidenza dell’emorragia polmonare indotta da esercizio (EIPH) o il sanguinamento.

Risultati altrettanto positivi e incoraggianti sono venuti dall’utilizzazione degli acidi grassi omega 3 nel campo della riproduzione dove sono stati osservati: un aumento del numero degli spermatozoi nel seme, effetti benefici sugli estri e sulla frequenza delle gravidanze, una maggiore reattività del sistema immunitario dei puledri.

Inoltre, pur non ottenendo un aumento della mobilità nei cavalli affetti da artrosi, l’integrazione con gli acidi grassi omega-3 sembrerebbe ridurre l’infiammazione delle articolazioni nei cavalli affetti da disturbi articolari che presentano un minor numero di leucociti nel liquido sinoviale.

Pertanto sarebbe auspicabile l’utilizzo di integratori a base di acidi grassi omega 3 nella dieta del cavallo al fine di prevenire eventuali alterazioni dell’omeostasi funzionale e per migliorare la performance atletica.

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Durante l’attività fisica, per compiere il lavoro richiesto dall’apparato muscolare, sono necessari una maggiore quantità di sostanze energetiche e un maggiore apporto di ossigeno rispetto a quanto normalmente utilizzato per il mantenimento della postura o durante il riposo.

Per soddisfare tale aumento del fabbisogno l’organismo interviene coadiuvando l’attività muscolare con il reclutamento di vari organi e apparati, e tra questi il sistema cardiocircolatorio è tra i coinvolti. In corso di esercizio fisico, il sistema cardiovascolare è responsabile del trasporto dei substrati energetici e dell’ossigeno verso i muscoli e della rimozione dell’anidride carbonica e dei cataboliti prodotti in seguito alla contrazione muscolare.

Per poter garantire il completo svolgimento delle sue funzioni e far si che all’aumentare delle richieste corrisponda una risposta fisiologica sempre efficace, il sistema cardiovascolare mette in atto una serie di:

aggiustamenti temporanei che durano solamente per il periodo di accresciuto fabbisogno, salvo poi tornare, più o meno rapidamente, alle condizioni basali e di

adattamenti, vere e proprie modificazioni a carico di diversi organi.

Aggiustamenti ed adattamenti possono, infatti, essere considerati come dei meccanismi di difesa che un apparato, come ad esempio quello cardiocircolatorio, mette in atto per mantenere costante la sua omeostasi.

Mentre alcuni aggiustamenti permangono tali, cioè temporanei, altri possono essere consolidati nel tempo e divenire adattamenti mediante l’applicazione di mirati programmi di allenamento e di un corretto management dell’animale.

In particolare, con l’incremento dell’intensità dell’esercizio fisico, il flusso di eiezione sistolica non cambia in modo significativo, vale a dire che ad ogni contrazione la quantità di sangue espulsa dai ventricoli rimane costante, in quanto la camera ventricolare mantiene costante il suo volume, tuttavia l’allenamento costante porta ad un ispessimento del miocardio soprattutto a livello ventricolare, fenomeno del cosiddetto “cuore di atleta”. Questo aumento non determina un incremento volumetrico, ma piuttosto un aumento della capacità contrattile del miocardio. Restando così le cose, l’eiezione di una quantità costante di sangue comporterebbe una non adeguata perfusione sanguigna del muscolo. Per ovviare a questo problema il cuore si “adatta” alla nuova condizione con un aumento del numero di battiti per minuto e, quindi, aumentando la sua Frequenza (HR=frequenza cardiaca). Il cavallo, tra tutte le specie ad attitudine sportiva è forse quella che riesce meglio ad adattare il sistema cardiovascolare. Infatti in tale specie, la frequenza cardiaca (HR) a riposo si aggira intorno ai 20-40 battiti al minuto e, pertanto, in tali condizioni è possibile considerarlo una specie bradicardica. Al contrario, in corso di esercizio, la frequenza può aumentare anche di 5-10 volte. Tale notevole variazione è indice di quanto efficace sia il sistema cardiovascolare del cavallo rispetto a quello di qualsiasi altra specie sportiva, uomo compreso. Le variazioni di HR durante l’esercizio sono considerate un buon indicatore del “carico di lavoro cardiovascolare” e sono correlate con il consumo di ossigeno. Alcuni autori hanno osservato che la frequenza cardiaca che si registra durante l’esercizio sembra influenzata dal sesso del cavallo (i maschi avrebbero una capacità aerobica superiore alle femmine e quindi frequenze cardiache più basse a parità di esercizio), mentre non viene alterata dal peso di fantini fino a 90 Kg. Inoltre esiste una stretta relazione tra la HR e l’intensità dell’esercizio: all’aumentare della velocità aumenta anche la HR, ma raggiunta una determinata velocità (o intensità) si raggiunge un plateau di HR chiamato frequenza cardiaca massima (HRmax), che nei cavalli può variare, come detto prima, da 210 a 240 battiti al minuto. La HRmax rappresenta il valore della frequenza cardiaca al quale l’aumentata intensità (o velocità) dello sforzo fisico non provoca un ulteriore aumento della stessa: rappresenta cioè il numero massimo di volte che il cuore può contrarsi in un minuto. Diversi studi hanno dimostrato che l’allenamento non influisce né sulla HR a riposo né sulla HRmax, ma può favorire un aumento dell’intensità di lavoro alla quale viene raggiunta la HRmax. Da quanto detto si evince come il mantenimento della salute e dell’efficienza dell’apparato cardiovascolare sia uno dei punti cruciali per ottenere una performance ottimale da parte dell’atleta. A questo scopo ci si è sempre occupati di migliorare la performance cardiaca tramite l’allenamento mirato, in quanto l’uso di principi farmacologici a questo scopo molto spesso viene considerato doping (farmaci cardioattivi, eritropoietina ecc.).

Attualmente c’è sempre una maggiore attenzione da parte della comunità scientifica nei confronti degli acidi grassi polinsaturi omega 3 (n-3 PUFA) visti gli effetti benefici dimostrati da parte di tali composti a vario livello e, in particolare, nei confronti il sistema cardiovascolare e per il fatto che possono essere liberamente utilizzati. Nell’uomo l’osservazione della bassa incidenza di patologie cardiovascolari, con particolare riferimento al rischio tromboembolico, in popolazioni che consumano grandi quantità di pesce, notoriamente ricchi di omega 3, aveva catturato l’attenzione dell’attività scientifica sulle proprietà di tali composti. In particolare, a partire dagli studi epidemiologici condotti da Dyerberg sulle popolazioni Inuit della Groenlandia, numerose ricerche hanno confermato l’attività cardioprotettiva fornita dal consumo di pesce e olio di pesce. In seguito, studi condotti dal Chicago Western Electric Study hanno dimostrato che, rispetto ai soggetti che non consumavano pesce, quelli che ne ingerivano almeno 35g al giorno avevano un tasso mortalità per cause cardiovascolari più basso del 40%. Inoltre, ricerche del Nurses Health Study hanno rilevato come, aumentando il consumo di pesce da meno di una porzione al mese fino a 5 volte la settimana, il rischio di coronaropatie si riduca fino al 34%, mentre il Physicians’ Health Study ha mostrato una associazione tra consumo di acidi grassi omega 3 e significativa riduzione del rischio di morte improvvisa legata a cause cardiocircolatorie.

Gli effetti cardioprotettivi e l’abbassamento del rischio cardiovascolare legato all’utilizzo degli acidi grassi omega 3 sono molteplici e legati a vari tipi di azione:

  • modulazione del metabolismo delle lipoproteine ricche in trigliceridi. In particolare è stata osservata una riduzione dei livelli di trigliceridi nella fase post-prandiale in soggetti ipertrigliceridemici e normolipidemici ed una migliore clearance epatica delle lipoproteine ricche in trigliceridi;
  • regolazione della pressione arteriosa. Gli omega 3 hanno mostrato di possedere un lieve effetto ipotensivo dose-dipendente che diventa più evidente nei pazienti ipertesi. Si ritiene che tale effetto ipotensivo possa essere riconducibile alla capacità da parte di tali composti di promuovere la sintesi endoteliale di agenti ad azione vasodilatatoria come ossido nitrico e prostaciclina;
  • modulazione dei fenomeni di emostasi e infiammazione. L’acido eicosapentaenoico (EPA) e’ il precursore di prostanoidi ad azione vasodilatante, anti-aggregante e anti-infiammatoria (es PGI3). Inoltre gli acidi grassi omega 3 riducono la produzione di citochine infiammatorie quali TNF-α, IL-6, IL-1. Tali effetti, insieme al potenziamento della fibrinolisi, alla riduzione della sintesi di fibrinogeno, del fattore VII rendono ragione dell’azione anti-trombotica e antiinfiammatoria degli omega 3;
  • effetti positivi sulla stabilità elettrica del miocardio. In particolare, la proprietà antiaritmica degli omega 3 è ascrivibile alla lieve iperpolarizzazione delle membrane plasmatiche che essi determinano nei miociti cardiaci; tale iperpolarizzazione determina un aumento della differenza del potenziale diastolico transmembrana e uno spostamento della soglia di apertura dei canali del sodio verso valori più positivi. Inoltre, è stato osservato che gli omega 3 sono capaci di prolungare di circa 3 volte il periodo refrattario della cellula muscolare cardiaca; ne consegue una maggiore resistenza del miocardio alla comparsa di aritmie letali quali la fibrillazione ventricolare. L’azione di stabilizzazione elettrica sembra essere legata alla capacità degli omega 3 di inibire i canali L del calcio e riducendo così la liberazione del calcio dal reticolo sarcoplasmatico e prevenendo i post-potenziali aritmogeni.

Come già detto in precedenza, dagli acidi grassi omega-3 derivano i leucotrieni della serie 5, che rispetto a quelli della serie 4 (derivati dall’acido arachidonico), sono dotati di un’azione vasocostrittrice e pro-infiammatoria molto più modesta, circa dieci volte inferiore. Ciò può comportare importanti ricadute sia sull’aterosclerosi sia su altre patologie infiammatorie (artrite reumatoide, morbo di Crohn, psoriasi, dermatite atopica). Il ruolo svolto dall’infiammazione nella genesi delle placche aterosclerotiche e nelle condizioni di instabilità e rottura delle stesse è ormai universalmente accettato. È quindi verosimile che gli acidi grassi omega 3, mediante l’attenuazione dei processi infiammatori, possano svolgere un ruolo centrale nella prevenzione sia del processo aterosclerotico, sia degli eventi acuti connessi alla rottura delle placche.

Per quanto detto sinora è possibile affermare come l’utilizzo degli omega 3 fornisca un valido supporto nel coadiuvare la funzionalità cardiaca migliorandone, al contempo, la performance. Tuttavia è necessario sottolineare come, nel cavallo atleta, tale campo di ricerca non sia stato ancora completamente esplorato e, pertanto, ulteriori ricerche dovranno essere condotte per approfondire adeguatamente tale argomento.

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La struttura fisica del cavallo e le sue capacità motorie sono il risultato di una lenta e progressiva serie di mutamenti verificatisi nel corso del processo evolutivo. Questi cambiamenti hanno portato allo sviluppo di un efficace apparato locomotore che consente all’animale di muoversi con agilità e rapidità rendendolo particolarmente adatto all’attività sportiva.

Oggi al cavallo atleta sono richieste performance sempre maggiori con una continuità nell’arco dell’anno che non prevede molte pause durante la stagione agonistica. Questi livelli di prestazione provocano notevoli pressioni e ripercussioni sul fisico dell’animale.

In particolare, le articolazioni, strutture anatomiche molto complesse perché formate da diverse componenti, sono quelle più soggette al movimento e quindi più esposte a possibili usure e a problemi che possono dipendere da vari fattori: mancanza di lubrificazione, richiesta di prestazioni fisiche superiori alle possibilità, etc. La vita del cavallo atleta, gli allenamenti intensi, le sollecitudini continue sulle articolazioni, i traumi da performance, sono tutti fattori che concorrono al deterioramento delle capsule articolari, portando all’istaurarsi di patologie quali artrosi, artriti e altri processi degenerativi delle cartilagini articolari che provocano dolore e successivamente zoppia.

Considerare le varie componenti delle articolazioni di un cavallo è alla base di una disciplina chiamata biomeccanica. Grazie a questa disciplina si possono capire i meccanismi che regolano il funzionamento del sistema osteo-articolare di un cavallo e anche come esso funziona durante il movimento. Inoltre, proprio grazie alla biomeccanica del cavallo, oggi possiamo spiegare i meccanismi che portano all’insorgenza di malattie che colpiscono le articolazioni di questi animali. Non è sempre facile rendersi conto di un’infiammazione articolare, perché non sempre si può diagnosticare attraverso la radiografia, pertanto se non si scopre in fretta, il rendimento del cavallo potrebbe calare giorno dopo giorno. In assenza di un’adeguata terapia, nel cavallo, può manifestarsi un caso di artrosi acuta non sempre curabile in modo efficace e in tempi brevi. Nel cavallo adulto, in particolare, le infiammazioni sono più frequenti nelle componenti scheletriche dell’articolazione, si verificano cioè infiammazioni dell’osso e della cartilagine articolare. Molto spesso, la cartilagine articolare è soggetta all’erosione che determina lo scoprimento dell’osso sottostante. Il conseguente attrito durante il movimento può provocare la perdita dei normali caratteri del liquido sinoviale. Se l’artrosi giunge a questo stadio la guarigione completa è molto difficile.

Il cavallo tenta di proteggersi “naturalmente” contro questo deterioramento ma, quando il suo sistema difensivo viene sopraffatto, subentra, inevitabilmente, la necessità di contrastare questi effetti fornendo all’animale componenti in grado di alleviare il dolore e proteggere le articolazioni.

Le cure “tradizionali” per il trattamento delle patologie osteo-articolari del cavallo atleta prevedono l’uso di farmaci anti-infiammatori, come i FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei) e i cortisonici. Entrambe le categorie di farmaci non riescono comunque a risolvere la degenerazione a lungo termine associata con lo stato infiammatorio cronico dell’articolazione. L’impiego ripetuto e prolungato dei suddetti farmaci risulta sconsigliato in quanto ritarda la rigenerazione della cartilagine, può avere ripercussioni negative a carico dell’apparato gastroenterico e, in particolare i FANS, non sono in grado di inibire l’enzima arachidonato 5-lipossigenasi (5 LOX), dalla cui attività derivano dei metaboliti dell’acido arachidonico aventi alto potenziale infiammatorio (leucotrieni LTB4).

Negli ultimi anni, si sono sviluppate nuove tecniche che prevedono l’utilizzo di “stimolatori biologici” i quali puntano alla rigenerazione del tessuto danneggiato stimolando le cellule della zona a riprendere il normale ritmo di riproduzione. La base comune di queste terapie innovative è la rigenerazione della superficie cartilaginea che avviene solo attraverso la stimolazione delle cellule presenti nella cartilagine stessa.

La somministrazione di integratori alimentari specifici per cavalli, oltre che essere di aiuto per la riparazione dei microtraumi e delle lesioni tendinee e articolari, se condotta con costanza, svolge anche un ruolo antidolorifico e antinfiammatorio.A differenza dei farmaci antinfiammatori tradizionali che possono essere usati solo per un breve periodo in quanto, come già accennato, hanno controindicazioni più o meno severe, i supplementi o gli integratori alimentari ad azione antinfiammatoria e antidolorifica possono essere usati anche per lunghi periodi perché totalmente privi di effetti collaterali negativi.

In particolare, i ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione su due distinte famiglie di acidi grassi: la famiglia degli omega 3 e quella degli omega 6. La famiglia degli omega-3 origina dall’acido alfa-linolenico (ALA) mentre la famiglia degli omega-6 ha come precursore l’acido linoleico (LA). ALA e LA sono considerati “acidi grassi essenziali” perché non possono essere sintetizzati nell’organismo e devono essere assunti con la dieta. Altri membri della famiglia degli omega-3 sono l’acido eicosapentanoico (EP) e l’acido docosapentaenoico (DHA). I cavalli sono in grado di convertire ALA in EPA e DHA quando sono assunte quantità sufficienti di ALA, anche se questo processo non è interamente efficiente.

La ricerca scientifica è attiva da anni nello studio del ruolo energetico dei grassi polinsaturi nell’alimentazione del cavallo atleta, al fine di migliorarne le prestazioni in gara.

Anche dal punto di vista nutrizionale l’utilizzo di grassi come fonte di energia alimentare per i cavalli è ampiamente accettato, e i suoi vantaggi nutrizionali sono inconfutabili. Sostituire l’ amido con i grassi può aiutare ad alleviare le condizioni dolorose muscolari e modificare il controllo metabolico durante la prestazione atletica. Ogni esercizio cui l’atleta è sottoposto è ripartito in una fase aerobica e una fase anaerobica. Nella fase aerobica il cavallo da corsa brucia i grassi polinsaturi in presenza di ossigeno, mentre in quella anaerobica consuma, senza richiesta di ossigeno, i carboidrati immagazzinati nei muscoli scheletrici sotto forma di glicogeno. Il motivo che ha spinto, inizialmente, l’interesse dei ricercatori a effettuare degli studi sull’integrazione degli acidi grassi polinsaturi nella dieta del cavallo è stato determinato dal fatto che, riuscendo a prolungare la fase aerobica, nella fase anaerobica, corrispondente sempre al finale della gara, il cavallo avrebbe a disposizione più energia per concludere la gara in accelerazione.

Vari studi, condotti su differenti specie, hanno messo in evidenza il benefico effetto della somministrazione di acidi grassi della serie omega 3 nell’attenuare il dolore causato dall’artrite e nel rallentarne la progressione. Gli acidi grassi omega 3 possono influenzare l’attività funzionale delle cellule del sistema immunitario, poiché sono in grado di alterare la produzione dei mediatori coinvolti nella comunicazione tra le cellule del sistema immunitario (eicosanoidi, citochine, NO) e quindi alleviare i sintomi di tale patologia. In particolare, in cani con osteoartrite trattati con omega 3 si è potuto notare una diminuzione nell’attività delle metalloproteasi 2 e 9, enzimi coinvolti nella degradazione cartilaginea. Vari autori hanno da tempo sottolineato i benefici effetti degli omega- 3 sulle condizioni cliniche di pazienti affetti da artrite reumatoide: EPA e DHA infatti determinano una riduzione, rispettivamente da neutrofili e monociti stimolati, del rilascio di leucotriene B4 e Interleuchina 1, mediatori dell’infiammazione presenti in tale patologia.

L’assunzione di omega-3 si associa inoltre ad un abbassamento della concentrazione di citochine proinfiammatorie (IL-6 e TNF-α), pertanto gli effetti di questi acidi grassi concorrono in più direzioni a ridurre l’assorbimento osseo. Gli omega 3 producono anche effetti diretti sulle cellule ossee agendo sul sistema di citochine RANKL/OPG. In particolare gli omega 3 riducono l’espressione delle prime e aumentando quella delle seconde, quindi risultano efficaci nel diminuire l’attivazione degli osteoclasti (cellule capaci di riassorbire l’osso mineralizzato o la cartilagine).

E’ stato dimostrato che la somministrazione di omega 3 ha un’azione particolarmente positiva nello stimolare la rigenerazione cartilaginea. Per produrre una cartilagine sana, infatti, l’organismo ha bisogno di quattro elementi: acqua (la cartilagine infatti è composta per il 60-80% di acqua), collagene (una proteina forte ed elastica), proteoglicani (molecole grandi ed elastiche) e speciali cellule chiamate condrociti. I proteoglicani si trovano all’interno della struttura del collagene dove attraggono, catturano e trattengono l’acqua. I condrociti producono continuamente nuovo collagene e proteoglicani, oltre ad alcuni enzimi (elastasi e iarulonasi) che aiutano a demolire il vecchio collagene e i proteoglicani ormai danneggiati. Gli omega 3 favorendo la sintesi di proteoglicani e collagene, aumentando la proliferazione dei condrociti e delle cellule staminali presenti sulla superficie articolare, risultano fondamentali nella prevenzione delle patologie degenerative a carico delle articolazioni. L’impiego costante di un supplemento dietetico fonte di acidi grassi polinsaturi dovrebbe essere incoraggiato nell’ alimentazione equina non solo per ottenere un miglioramento della perfomance atletica dei soggetti, ma anche e soprattutto per preservare la salute del cavallo sportivo.

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L’esercizio fisico, se effettuato con gradualità e sostenuto con continuità, fa si che l’organismo tenda ad “adattarsi” alla condizione di “stress” determinato dall’aumento del lavoro muscolare. Si verificano così degli adattamenti a carico di molteplici apparati dell’organismo, e tra questi il sistema muscolo scheletrico risulta maggiormente coinvolto. Diverse tipologie di esercizio fisico e di allenamento coinvolgono, inoltre, anche gli apparati cardio circolatorio e respiratorio (soprattutto per quanto riguarda tutti gli sport di resistenza, vale a dire quelli che prevedono la via aerobica per l’ossidazione dei substrati energetici).

Il tessuto muscolare, sottoposto ad esercizio fisico intenso e costante, va in contro a una serie di modificazioni sia di tipo morfologico che fisiologico volte a bilanciare gli aumenti di lavoro di lavoro a cui viene sottoposto. Tra queste modificazioni l’incremento della capacità contrattile e quindi della forza espressa per singola contrazione è senza dubbio il più interessante.

L’obiettivo principale dell’allenamento, infatti, è ottenere dal sistema muscolare una risposta adeguata al tipo di esercizio richiesto, come esprimere la “potenza esplosiva” nelle gare di galoppo oppure garantire un continuo e costante lavoro nelle gare di endurance.

Per poter fornire una maggiore “forza”, il muscolo si adatta modificando la sua conformazione morfologica andando incontro a un aumento di tipo volumetrico. Tale aumento non comporta una modificazione numerica dei singoli sarcomeri, ma un vero e proprio aumento del numero delle proteine contrattili (actina e miosina).

Quando, invece, è richiesta una maggiore resistenza rispetto alla forza, le modificazioni a carico delle miofibrille coinvolgono in minima parte l’actina e la miosina, mentre si assiste ad un riassetto del corredo enzimatico caratteristico del metabolismo energetico necessario al migliore utilizzo aerobico dei substrati energetici, accompagnato da un aumento delle dimensioni e del numero dei mitocondri e da un aumento dell’affinità per l’ossigeno da parte della mioglobina.

Se sottoposto ad esercizio fisico, il tessuto muscolare è in grado di aumentare la propria massa. L’aumento della massa avviene in due tempi distinti:

  • Aumento temporaneo, tipico dei primi giorni, quando il muscolo passando dall’inattività all’esercizio tende ad aumenta la propria massa essenzialmente per accumulo di liquido nel citoplasma della fibrocellula muscolare;
  • Aumento permanente, quando, attraverso l’allenamento, l’esercizio fisico diventa una attività costante e metodica.

L’aumento della massa muscolare avviene per:

  • Ipertrofia muscolare. E’ l’aumento della sezione trasversa delle fibre muscolari a causa dell’aumento delle miofibrille (costituite dalle proteine contrattili actina e miosina) e di tessuto connettivo.

Dopo l’esercizio, durante il periodo di riposo, il nostro organismo entra in quella fase del metabolismo detta “fase anabolica”, nella quale vengono ripristinati i substrati energetici utilizzati per effettuare l’esercizio e riparati i tessuti danneggiati. L’anabolismo può avvenire grazie alla secrezione, da parte delle ghiandole endocrine preposte, di ormoni ad effetto anabolico.

  • Iperplasia muscolare. E’ l’aumento del numero delle fibre muscolari. E’ un fattore di cui i ricercatori non hanno ancora la piena certezza, in quanto sperimentato solo in vitro.

Anche a livello del microcircolo muscolare l’impatto dell’allenamento e la tipologia dell’esercizio hanno ripercussioni significative.

Numerosi studi hanno permesso di evidenziare come, nel cavallo, soprattutto a carico di alcuni gruppi muscolari, come ad esempio i glutei e il vasto laterale, la densità dei capillari ematici aumenti. Studi condotti mediante l’impiego della risonanza magnetica nucleare hanno permesso di evidenziare profonde differenze fra galoppatori e cavalli da endurance: in quest’ultimi riscontrato le masse muscolari sono meno voluminose, mentre la densità vasale è a causa della maggiore richiesta di ossigeno.

Oltre all’ aumento della densità capillare, si assiste a una modificazione dell’endotelio vasale, con un incremento delle dimensioni delle fenestrature dei capillari e conseguente aumento della superficie di contatto sangue/miofibrilla; da un punto di vista fisiologico, invece, si assiste ad un miglioramento dell’affinità della mioglobina nei confronti dell’ossigeno: ne consegue, nel complesso, un sostanziale miglioramento nel trasporto del sangue.

Recentemente alcuni ricercatori hanno rivolto la loro attenzione all’impiego di acidi grassi della serie omega 3 nella razione dei cavalli sportivi. Diversi studi, infatti, hanno dimostrato, per lo meno nell’uomo, che l’impiego di acidi grassi della serie omega 3 a lunga catena e di acidi grassi polinsaturi (PUFA) ha effetti benefici in determinate patologie, come ad esempio le malattie coronariche, il diabete e le malattie autoimmuni. Tuttavia, ancora oggi i meccanismi di azione degli acidi grassi della serie omega 3 sono poco chiari, ma è stata suggerita una loro interazione positiva con i componenti lipidici delle membrane cellulari. Tale interazione influisce sulla modulazione della cascata infiammatori prostaglandino dipendente, e migliora l’equilibrio tra sostanze antiossidanti e ossidanti provenienti dalla perossidazione lipidica.

L’interazione tra omega 3 e membrana cellulare è dovuta alla particolare morfologia di quest’ultima. La membrana cellulare, o membrana plasmatica, è un sottile rivestimento di 5-10 nm (50-100 Å) che, in tutti gli organismi viventi, delimita la cellula, la separa dall’ambiente esterno e ne regola gli scambi permettendo flussi di materiale fra l’interno della cellula e l’ambiente circostante da cui la separa.

Essa è formata in prevalenza da lipidi e più precisamente fosfolipidi e viene chiamata anche “doppio strato fosfolipidico” o “bilayer fosfolipidico”. In particolare, sulla componente lipidica si vanno a collocare, con importanti funzioni fisiologiche, proteine, una piccola percentuale di glucidi in forma di glicoproteine e glicolipidi, e molecole di colesterolo con funzione stabilizzante.

Nel caso dei globuli rossi, l’interazione tra gli acidi grassi della serie omega 3 e la membrana plasmatica fa si che questi ultimi risultino più “fluidi”, aumenta la loro capacita di passare attraverso i capillari terminali sottili che irrorano il muscolo, con conseguente diminuzione della viscosità del sangue (dovuta all’emoconcentrazione per perdita di liquidi che può verificarsi durante l’esercizio fisico) e migliore ossigenazione del tessuto muscolare. La stabilizzazione della parte idrorepellente della membrana citoplasmatica dei globuli rossi porta a una migliore capacità di “movimento” degli stessi nel mezzo acquoso in cui sono immersi, limitando i flussi vorticosi che si vengono a formare in caso di emoconcentrazione. Tale condizione fa si che il cuore non debba compiere eccessivi sforzi per pompare il sangue in circolo, infatti, un flusso laminare regolare favorisce l’eiezione sanguigna. In oltre, essendo il flusso più regolare si evitano le stasi dei capillari periferici e conseguentemente si riducono in maniera significativa le “emorragie da sforzo”.

Oltre agli effetti diretti sulla membrana plasmatica, numerosi studi condotti sperimentalmente sul campo, hanno permesso di dimostrare che l’esercizio fisico, nel cavallo, induce un incremento degli ossidanti liberi prodotti a partire dai componenti lipidici della membrana cellulare danneggiata, con un possibile effetto dannoso a livello muscolare prima e dell’intero organismo poi. Pertanto, nel cavallo atleta, l’utilizzo costante di sostanze come gli acidi grassi della serie omega 3 ad azione stabilizzatrice della membrana plasmatica e regolatrice del rapporto ossidanti/antiossidanti potrebbe essere vantaggioso e consigliato .

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La fisiologia e la biochimica dell’esercizio sono aree di studio importanti legate alla medicina sportiva. La fisiologia si occupa delle risposte che il cavallo attua durante l’esercizio e di come queste risposte possano essere modificate e migliorate con una serie di interventi che includono l’allenamento, il periodo di riposo e i piani nutrizionali. Lo studio della fisiologia dell’esercizio richiede spesso la determinazione di parametri fisici e biochimici. Tali determinazioni aiutano a descrivere l’intensità dell’esercizio e sono fondamentali per la valutazione delle performance.

La biochimica dell’esercizio si occupa dello studio dei cambiamenti indotti dall’attività fisica sulle cellule e sui loro componenti, di come le cellule provvedono a produrre energia per l’esercizio, di quale tipo di “carburante” viene utilizzato durante i diversi tipi di attività sportiva.

La capacità di effettuare un lavoro muscolare non può prescindere dall’integrità funzionale dei sistemi neuro-sensoriali ed energetici, strettamente connessi fra loro e con il sistema umorale. Effettivamente, l’esecuzione ed il mantenimento dell’esercizio fisico, sia durante l’allenamento che nelle competizioni sportive, dipendono dall’attività integrata di numerosi sistemi del corpo con conseguenti notevoli cambiamenti dello stato basale.

L’esercizio fisico rappresenta, quindi, una fonte di stress inteso come alterazione dell’equilibrio omeostatico del soggetto, che coinvolge la componente fisica e metabolica. Queste componenti subiscono delle modificazioni allo scopo di adeguare fisiologicamente l’individuo alla nuova condizione “ambientale” e nel complesso determinano la cosiddetta fitness o stato di adattamento dell’organismo. Nel caso in cui questi stimoli stressanti, legati all’esercizio, siano troppo pesanti, troppo prolungati nel tempo e/o seguiti da un periodo di riposo insufficiente, l’animale non riesce più a mantenere l’omeostasi e può insorgere uno stato di sovraffaticamento che inizialmente si manifesta solo con riduzione delle performance, ma che può sfociare in una vera e propria condizione patologica: si può creare quindi una situazione di distress.

I meccanismi all’origine dell’esaurimento fisico negli esercizi particolarmente intensi sono diversi da quelli che possono derivare da esercizi di più lunga durata con intensità moderate.

Nel primo caso, la causa fondamentale è rappresentata dall’accumulo di acido lattico e protoni nei muscoli con conseguente abbassamento del pH che agisce inibendo sia l’utilizzo del calcio nella fase di rilassamento muscolare, sia l’attivazione degli enzimi necessari per la sintesi dell’ATP (fosfofruttokinasi).

In condizioni di riposo la concentrazione ematica di lattato nei cavalli atleti oscilla fra 0.5 – 0.9 mmol/L.

Al termine di un esercizio la sua concentrazione continua ad aumentare raggiungendo il picco ematico dopo circa 2-10 minuti. Il lattato rappresenta ancora una buona fonte energetica e, mentre durante l’esercizio viene utilizzato soprattutto dal fegato per produrre glucosio, dal cuore per produrre energia e in parte dalle fibre muscolari di tipo 1, dopo la fine dell’esercizio, durante la fase di defaticamento, viene ossidato dalle masse muscolari. La quota di lattato rimossa dal circolo dipende dallo stato metabolico del soggetto. A riposo la quota di energia necessaria è bassa, ma se durante questa fase il cavallo esegue un esercizio molto leggero, il consumo di ossigeno cresce e si assiste all’ossidazione dell’acido lattico. È stato osservato che dopo un allenamento su treadmill ad alta velocità, la vita media del lattato può ridursi del 50% se il cavallo viene sottoposto ad una fase di defaticamento al passo.

In esercizi molto intensi, i cavalli devono utilizzare soprattutto la via anaerobica di produzione energetica accelerando il metabolismo anaerobico del glicogeno (glucosio immagazzinato nel muscolo).

A intensità di esercizio superiori a quelle che determinano un consumo di ossigeno pari al 65-85% della massima potenza aerobica del soggetto (VO2max), la quantità di lattato prodotto dai muscoli con la glicolisi anaerobica inizia ad aumentare, si diffonde nel torrente circolatorio e determina un aumento della sua concentrazione ematica.

E’ possibile in corso di esercizio fisico, eseguendo il dosaggio del lattato ematico, stabilire qual è il momento di passaggio tra una produzione di energia attraverso la via aerobica del metabolismo e la produzione di energia anaerobica. Si può individuare questo punto di passaggio, definito soglia anaerobica, rilevando concentrazioni di lattato ematico uguali o superiori a 4 mmol/l (Figura 1).

Da un punto di vista metabolico possiamo dire che, fino al raggiungimento di questa soglia, esiste un equilibrio tra la quota di lattato liberato dal muscolo nel torrente circolatorio e la quota utilizzata dai tessuti. Con il raggiungimento della soglia anaerobica, il suddetto equilibrio viene meno ed il lattato ematico subisce una crescita esponenziale. Inoltre, il valore soglia di lattato ematico corrisponde anche alla saturazione dei sistemi di trasporto del lattato dalla fibra muscolare allo spazio extracellulare, risultandone un suo accumulo esponenziale all’interno della cellula. Questo valore derivato sostanzialmente dalla medicina sportiva umana, è utilizzato anche per valutare la performance nel cavallo, associandolo ai valori di velocità e frequenza cardiaca raggiunte a livello della soglia anaerobica e indica la velocità massima che il cavallo può raggiungere prima che i meccanismi di smaltimento dell’acido lattico siano saturati. Un soggetto con soglia anaerobica elevata mostra una resistenza alla comparsa della fatica in quanto ha una maggiore capacità di trasporto ed utilizzo dell’ossigeno e sfrutta la produzione aerobica di energia ritardando l’accumulo di acido lattico nel sangue.

Un adeguato allenamento dell’atleta, permette di ritardare l’affaticamento muscolare, aumentare il tempo di resistenza all’esercizio di natura sia aerobica che anaerobica, migliorando, di conseguenza, la performance.

Anche un’alimentazione bilanciata e oppurtunatamente integrata può giocare un ruolo di notevole importanza nel miglioramento della performance atletica. Un cavallo sottoposto a un lavoro più o meno intenso ha bisogno di una dieta che gli fornisca, oltre all’energia per il suo mantenimento, anche l’energia supplementare richiesta dal lavoro svolto. È importante conoscere il valore nutrizionale degli alimenti, cioè la quantità di energia e proteina contenuti in un certo alimento, in modo da poter preparare diete equilibrate per il cavallo, anche tenendo conto del tipo di animale, delle sue dimensioni, della quantità e del tipo di attività fisica svolta e della sua capacità di ingestione. Le principali fonti energetiche derivanti dalla dieta comprendono: carboidrati fermentescibili e solubili, proteine, oli e grassi.

È noto che i grassi sono una preziosa fonte di energia per i muscoli, soprattutto quando si tratta di affrontare uno sforzo lento e prolungato, tipico di una gara di fondo. È stato dimostrato che i cavalli che assumono abitualmente grassi con l’alimentazione presentano una maggiore predisposizione a mobilizzare il grasso corporeo e una minore tendenza ad accumulare acido lattico durante il lavoro. I grassi, infatti, aumentano la resistenza, forniscono energia e allo stesso tempo esercitano un’azione calmante sul cavallo, riducono la probabilità di incorrere in determinati problemi metabolici e riducono il carico di calore (temperatura) nel cavallo.

Inoltre, il grasso è una buona fonte di importanti elementi nutritivi liposolubili, come acidi grassi essenziali e vitamine liposolubili (soprattutto vitamina E).

Tra gli acidi grassi essenziali, gli omega 3 e in particolare, l’acido ecosapentaenoico (EPA, 20:5 omega 3) e l’acido docoesaenoico (DHA, 22:6 omega3) sono i composti più importanti.

Le cellule dei mammiferi sono privi di sistemi enzimatici (denaturasi) necessari per l’inserimento dei doppi legami nella catena carboniosa dell’acido grasso. Pertanto, non potendo essere sintetizzati ex novo dall’organismo animale, gli acidi grassi polinsaturi devono necessariamente essere introdotti con la dieta e pertanto sono definiti “essenziali”. Diversi alimenti sia di origine vegetale che animale, contengono acidi grassi essenziali. L’olio di semi di lino e l’olio di pesce, ad esempio, rappresentano gli alimenti fonte di acidi grassi polinsaturi più comunemente utilizzati come integratori alimentari nella specie equina. Tuttavia, l’olio di pesce determina un incremento maggiore della concentrazione plasmatica di EPA e DHA rispetto all’olio di semi di lino.

Secondo una recente ricerca condotta sull’uomo, l’assunzione di omega 3 (principalmente EPA e DHA) a elevato standard di purezza e concentrazione è di aiuto nel contrastare l’affaticamento muscolare, migliorare la prestazione e aumentare l’efficienza dei muscoli direttamente coinvolti nel gesto atletico. Alla luce dei risultati positivi ottenuti sull’uomo e su altre specie animali, la ricerca scientifica, ed in particolare la medicina sportiva equina, è attiva da anni nello studio del ruolo energetico di questi acidi grassi nell’alimentazione del cavallo atleta, al fine di migliorarne le prestazioni in gara.

Numerosi studi hanno evidenziato che la somministrazione di integratori alimentari a base di olio di pesce ha un’influenza positiva sul miglioramento di alcuni parametri della performance, nel cavallo atleta.

In particolare, è emerso che, l’arricchimento della razione mediante grassi accresce l’attività degli enzimi del catabolismo dei lipidi e degli acidi grassi, favorendo, di conseguenza, l’utilizzazione dei lipidi endogeni, aumenta la capacità di ossidare i grassi, fornisce un maggior apporto energetico anche nei cavalli che compiono sforzi brevi ed intensi, riduce la formazione di acido lattico, perché induce il coinvolgimento di un numero più elevato di unità muscolari ad alto potere ossidativo (fibre muscolari IIA) a scapito delle unità glicolitico-anaerobiche (fibre muscolari IIB).

Sebbene numerosi studi abbiano dimostrato l’effetto positivo dell’integrazione con acidi grassi poliinsaturi omega 3 sull’affaticamento muscolare e sul metabolismo energetico, ad oggi sono necessari ulteriori approfondimenti per poter affermare che gli omega 3 possano migliorare la performance atletica.

In particolare, altri studi sono necessari per poter affermare quale possa essere il più corretto dosaggio, durata e timing di somministrazione.

 

Bibliografia

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