L’esercizio fisico, se effettuato con gradualità e sostenuto con continuità, fa si che l’organismo tenda ad “adattarsi” alla condizione di “stress” determinato dall’aumento del lavoro muscolare. Si verificano così degli adattamenti a carico di molteplici apparati dell’organismo, e tra questi il sistema muscolo scheletrico risulta maggiormente coinvolto. Diverse tipologie di esercizio fisico e di allenamento coinvolgono, inoltre, anche gli apparati cardio circolatorio e respiratorio (soprattutto per quanto riguarda tutti gli sport di resistenza, vale a dire quelli che prevedono la via aerobica per l’ossidazione dei substrati energetici).
Il tessuto muscolare, sottoposto ad esercizio fisico intenso e costante, va in contro a una serie di modificazioni sia di tipo morfologico che fisiologico volte a bilanciare gli aumenti di lavoro di lavoro a cui viene sottoposto. Tra queste modificazioni l’incremento della capacità contrattile e quindi della forza espressa per singola contrazione è senza dubbio il più interessante.
L’obiettivo principale dell’allenamento, infatti, è ottenere dal sistema muscolare una risposta adeguata al tipo di esercizio richiesto, come esprimere la “potenza esplosiva” nelle gare di galoppo oppure garantire un continuo e costante lavoro nelle gare di endurance.
Per poter fornire una maggiore “forza”, il muscolo si adatta modificando la sua conformazione morfologica andando incontro a un aumento di tipo volumetrico. Tale aumento non comporta una modificazione numerica dei singoli sarcomeri, ma un vero e proprio aumento del numero delle proteine contrattili (actina e miosina).
Quando, invece, è richiesta una maggiore resistenza rispetto alla forza, le modificazioni a carico delle miofibrille coinvolgono in minima parte l’actina e la miosina, mentre si assiste ad un riassetto del corredo enzimatico caratteristico del metabolismo energetico necessario al migliore utilizzo aerobico dei substrati energetici, accompagnato da un aumento delle dimensioni e del numero dei mitocondri e da un aumento dell’affinità per l’ossigeno da parte della mioglobina.
Se sottoposto ad esercizio fisico, il tessuto muscolare è in grado di aumentare la propria massa. L’aumento della massa avviene in due tempi distinti:
- Aumento temporaneo, tipico dei primi giorni, quando il muscolo passando dall’inattività all’esercizio tende ad aumenta la propria massa essenzialmente per accumulo di liquido nel citoplasma della fibrocellula muscolare;
- Aumento permanente, quando, attraverso l’allenamento, l’esercizio fisico diventa una attività costante e metodica.
L’aumento della massa muscolare avviene per:
- Ipertrofia muscolare. E’ l’aumento della sezione trasversa delle fibre muscolari a causa dell’aumento delle miofibrille (costituite dalle proteine contrattili actina e miosina) e di tessuto connettivo.
Dopo l’esercizio, durante il periodo di riposo, il nostro organismo entra in quella fase del metabolismo detta “fase anabolica”, nella quale vengono ripristinati i substrati energetici utilizzati per effettuare l’esercizio e riparati i tessuti danneggiati. L’anabolismo può avvenire grazie alla secrezione, da parte delle ghiandole endocrine preposte, di ormoni ad effetto anabolico.
- Iperplasia muscolare. E’ l’aumento del numero delle fibre muscolari. E’ un fattore di cui i ricercatori non hanno ancora la piena certezza, in quanto sperimentato solo in vitro.
Anche a livello del microcircolo muscolare l’impatto dell’allenamento e la tipologia dell’esercizio hanno ripercussioni significative.
Numerosi studi hanno permesso di evidenziare come, nel cavallo, soprattutto a carico di alcuni gruppi muscolari, come ad esempio i glutei e il vasto laterale, la densità dei capillari ematici aumenti. Studi condotti mediante l’impiego della risonanza magnetica nucleare hanno permesso di evidenziare profonde differenze fra galoppatori e cavalli da endurance: in quest’ultimi riscontrato le masse muscolari sono meno voluminose, mentre la densità vasale è a causa della maggiore richiesta di ossigeno.
Oltre all’ aumento della densità capillare, si assiste a una modificazione dell’endotelio vasale, con un incremento delle dimensioni delle fenestrature dei capillari e conseguente aumento della superficie di contatto sangue/miofibrilla; da un punto di vista fisiologico, invece, si assiste ad un miglioramento dell’affinità della mioglobina nei confronti dell’ossigeno: ne consegue, nel complesso, un sostanziale miglioramento nel trasporto del sangue.
Recentemente alcuni ricercatori hanno rivolto la loro attenzione all’impiego di acidi grassi della serie omega 3 nella razione dei cavalli sportivi. Diversi studi, infatti, hanno dimostrato, per lo meno nell’uomo, che l’impiego di acidi grassi della serie omega 3 a lunga catena e di acidi grassi polinsaturi (PUFA) ha effetti benefici in determinate patologie, come ad esempio le malattie coronariche, il diabete e le malattie autoimmuni. Tuttavia, ancora oggi i meccanismi di azione degli acidi grassi della serie omega 3 sono poco chiari, ma è stata suggerita una loro interazione positiva con i componenti lipidici delle membrane cellulari. Tale interazione influisce sulla modulazione della cascata infiammatori prostaglandino dipendente, e migliora l’equilibrio tra sostanze antiossidanti e ossidanti provenienti dalla perossidazione lipidica.
L’interazione tra omega 3 e membrana cellulare è dovuta alla particolare morfologia di quest’ultima. La membrana cellulare, o membrana plasmatica, è un sottile rivestimento di 5-10 nm (50-100 Å) che, in tutti gli organismi viventi, delimita la cellula, la separa dall’ambiente esterno e ne regola gli scambi permettendo flussi di materiale fra l’interno della cellula e l’ambiente circostante da cui la separa.
Essa è formata in prevalenza da lipidi e più precisamente fosfolipidi e viene chiamata anche “doppio strato fosfolipidico” o “bilayer fosfolipidico”. In particolare, sulla componente lipidica si vanno a collocare, con importanti funzioni fisiologiche, proteine, una piccola percentuale di glucidi in forma di glicoproteine e glicolipidi, e molecole di colesterolo con funzione stabilizzante.
Nel caso dei globuli rossi, l’interazione tra gli acidi grassi della serie omega 3 e la membrana plasmatica fa si che questi ultimi risultino più “fluidi”, aumenta la loro capacita di passare attraverso i capillari terminali sottili che irrorano il muscolo, con conseguente diminuzione della viscosità del sangue (dovuta all’emoconcentrazione per perdita di liquidi che può verificarsi durante l’esercizio fisico) e migliore ossigenazione del tessuto muscolare. La stabilizzazione della parte idrorepellente della membrana citoplasmatica dei globuli rossi porta a una migliore capacità di “movimento” degli stessi nel mezzo acquoso in cui sono immersi, limitando i flussi vorticosi che si vengono a formare in caso di emoconcentrazione. Tale condizione fa si che il cuore non debba compiere eccessivi sforzi per pompare il sangue in circolo, infatti, un flusso laminare regolare favorisce l’eiezione sanguigna. In oltre, essendo il flusso più regolare si evitano le stasi dei capillari periferici e conseguentemente si riducono in maniera significativa le “emorragie da sforzo”.
Oltre agli effetti diretti sulla membrana plasmatica, numerosi studi condotti sperimentalmente sul campo, hanno permesso di dimostrare che l’esercizio fisico, nel cavallo, induce un incremento degli ossidanti liberi prodotti a partire dai componenti lipidici della membrana cellulare danneggiata, con un possibile effetto dannoso a livello muscolare prima e dell’intero organismo poi. Pertanto, nel cavallo atleta, l’utilizzo costante di sostanze come gli acidi grassi della serie omega 3 ad azione stabilizzatrice della membrana plasmatica e regolatrice del rapporto ossidanti/antiossidanti potrebbe essere vantaggioso e consigliato .
Bibliografia
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